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Non è un paese per principianti

Non è un paese per principianti

01.09.2012 (Benin-City / Nigeria)

A Lagos ci godiamo le gioie di un hotel a quattro stelle. Letti grandi e comodi, acqua calda, climatizzatore, televisore a schermo piatto, colazione continentale e addirittura vasca da bagno! Festeggiamo la metà del nostro viaggio: metà dei paesi sul cammino per il Sudafrica attraversati e all’incirca metà dei chilometri fatti! La sera festeggiamo con del Lagavulin invecchiato di 16 anni nel ristorante panoramico dell’albergo. Ma non siamo clienti classici. Non quelli con valigia a rotelle, almeno. Abbiamo toccato la terra africana per cinque mesi e tutte le notti, con poche eccezioni, abbiamo dormito sotto le stelle. Il cameriere che ci serve, Charles, nigeriano di Calabar, se ne accorge. Nasce una bella intesa e le etichette dell’hotel vengono per un momento messe da parte. Ci chiede di condividere con lui la sua cena sul pianale del bar. Ottimo cibo locale e, come è ormai diventata nostra abitudine, si mangia con le mani dallo stesso piatto. Bella serata.

La mattina lasciamo le comodità dell’hotel sotto lo sguardo incredulo dei gerenti indiani e dell’elegante Roland (ci ha aiutati con una ottima lettera di invito per l’ottenimento del visto nigeriano). Non ci possano credere che i due ceffi barbuti e trasandati davanti a loro, siano arrivati fino a li dalla Svizzera... e via terra. “E avete attraversato il deserto?!?” chiedono stupiti.
Lasciamo le sicurezze di Lagos alle nostre spalle e ci dirigiamo verso Calabar. E’ mattina inoltrata e sappiamo che gli oltre 700 chilometri che ci aspettano non sono fattibili entro il tramonto. Come regola generale evitiamo di cercare un posto per la notte al buio e cominciamo al più tardi un’ora prima a trovare un angolino tranquillo dove sistemare l‘accampamento. Dovremo improvvisare lungo il cammino.

La strada è piuttosto trafficata e sfregiata di grosse e pericolose buche nell’asfalto ("nids de poulles" in francese). Le decine di carcasse di veicoli contorte di cui alcune incenerite sono li per ricordare la pericolosità della strada. Soprattutto di notte. Non tutti i veicoli hanno fari funzionanti, i pneumatici vengono usati fino alla rottura e la velocità, per una strada in questo stato, è spesso troppo elevata.

Non ci sentiamo benvenuti in Nigeria. La gente del sud è in generale poco sorridente e difficilmente si trova la giocosità e il calore che hanno fatto da costante in tutti i paesi visitati finora. Non ricambiano i saluti e gli sguardi sono quasi inquisitori. Chi ci rivolge la parola, spesso comincia con un “Ehi, white man!” spregiativo (eng. Ehi, uomo bianco).

Ma è la polizia che ci fa penare e ci tiene in un costante sentimento di insicurezza lungo i circa 1000 km di attraversata della Nigeria. Siamo stati fermati a quasi tutti i posti di blocco. In totale 15-20 volte. Il primo contatto è gentile. Ci chiedono da dove veniamo e ci danno addirittura il benvenuto nel paese. Ci chiedono poi i documenti della macchina. E li è finita! Cambiano gli sguardi e gli atteggiamenti, e se ne escono con contravvenzioni improbabili e non veritiere. “L’estintore non è in regola” (tutti viaggiano con lo stesso tipo). “Le luci dei freni non si accendono” (le testiamo sul posto e funzionano a meraviglia). “Dovete avere una patente di guida nigeriana” asserendo che la nostra patente internazionale non serve a niente. “Le targhe che avete non sono in norma” (Ovvio. Il veicolo è immatricolato in Svizzera e le targhe sono di conseguenza svizzere). E così via... Malgrado tutti i documenti personali e del veicolo in regola e con la macchina in perfetto funzionamento, i poliziotti ci fanno penare. Perdiamo tempi interminabili, e la sola cosa che vogliono sono i soldi. Chiedono anche fino a 35'000 Naira (175€)! Ci minacciano di trattenere i nostri documenti e ci danno degli appuntamenti a diversi giorni di distanza per presentarci in centrale. La prima volta paghiamo 3000 Naira per un equivalente di 15€. Poi non ci stiamo più al loro gioco! Raccontiamo storie inverosimili e soprattutto ci prendiamo il tempo. Davanti a gendarmi più tenaci, dopo un certo tempo, Daniele simula una crisi di panico con tanto di singhiozzamenti, farfugliamenti, colpi sul volante e mani tra i capelli. Dopo dieci minuti siamo di nuovo in strada con tutti documenti in macchina. Quando possiamo forziamo i posti di blocco, lasciando a bocca aperta gli uomini in uniforme. Ci fermiamo solo se vediamo dagli specchietti un’auto blu chiaro partire al nostro inseguimento o, come ci è successo una volta, quando duecento metri più avanti un gendarme si piazza in mezzo alla strada. Imbraccia una mitragliatrice e lo vediamo fare il movimento di carica. Scopriamo così che la Patrol ha ancora ottimi freni! Si rilassa con noi, ma punta l’arma alla macchina che ci segue... che continua però come se niente fosse. Salutiamo, ci scusiamo e ci lascia partire. Vediamo armi ovunque. Sia tra corpi ufficiali che tra civili. Veniamo fermati anche dalla milizia e dalla marina. E qui una nota di merito. Gentili, curiosi, ci lasciano passare senza attardarci troppo. Scopriamo più avanti che sono pagati anche 5 volte in più dei gendarmi, e non hanno così bisogno di arrotondare per arrivare a fine mese.

Stanchi e spossati della giornata, troviamo da campeggiare nel cortile di un hotel della periferia di Benin-City. Riassumiamo la giornata davanti ad una birra. E’ passata forse una mezz’ora dal nostro arrivo e siamo ai primi bocconi della nostra cena, quando lo staff dell’hotel si presenta a noi. Sono professionali, ma notiamo irrequietezza. “Sta succedendo qualcosa di strano” dicono “dieci uomini sono entrati nel cortile, hanno dato un’occhiata senza dire niente e sono ripartiti”. “Pensiamo siano stati attirati dalla vostra presenza”. Ci confermano che non è un hotel abituato ai bianchi. “Per la vostra sicurezza, per la nostra e quella dei nostri ospiti, pensiamo sia meglio ve ne andiate”. In quella, una coppia di nigeriani scende di fretta dalle scale. Portano come possono i loro bagagli sottobraccio. Lui è in boxer. Lei lievemente più presentabile. Saltano in macchina e se ne vanno a tutta velocità. Reagiamo. Diamo disposizione al guardiano di aprire la barriera di uscita all’ultimo istante, saltiamo in macchina e partiamo a luci spente nella strada buia. Le accendiamo solo raggiunta una velocità sostenuta. Quando siamo sicuri che nessun veicolo ci segue, cerchiamo una sistemazione per la notte. Troviamo un hotel con doppio portone, alto recinto, filo spinato e guardie armate. Sonno agitato.

Arriviamo a Calabar. Da subito la città si presenta accogliente. E’ qui che si trova l’ambasciata del Camerun. Otteniamo il visto in meno di 24 ore da una gentilissima impiegata. Addirittura, mentre se ne sta andando a casa, torna indietro e ci apre l’ambasciata per permetterci di depositare i dossiers. Abbiamo una sola cosa in testa. Lasciare la Nigeria. E il più in fretta possibile. Appena riceviamo il visto ci dirigiamo al nord. Dopo una notte di camping selvaggio siamo alla frontiera con il Camerun. La mitica Ekok-Mamfe, conosciuta per essere la “peggior strada d’Africa”, è ormai davanti a noi!

 

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