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Orme

Orme

19.10.2012 (Boungounga / Gabon)

Dopo Lambaréné mettiamo il capo su Fougamou. La natura cambia radicalmente. Per tre mesi, dall’entrata nella Costa d’Avorio, siamo costantemente stati avvolti dalla fitta foresta tropicale. Per trovare pochi metri quadrati liberi da vegetazione per aprire la nostra tenda, ci richiedeva a volte diverse ore. Da Fougamou, un simpatico villaggio in riva al fiume Ngounié, la foresta lascia spazio a larghe praterie. Di un verde così intenso e tenero, di infinite tonalità e sfumature, da sembrare uscire dagli stessi pennelli di un cartone animato della Walt Disney. A Fougamou rifacciamo provviste e completiamo le riserve d’acqua. In un ristorantino ben curato mangiamo della “viande de brousse” (fr. carne di prateria). Ordiniamo porcospino e coccodrillo nei rispettivi brodi accompagnati da banane plantains e pasta di manioca. Nel menu anche gazzella, pesce di fiume e scimmia. Tutto fresco di giornata! Ci installiamo a 18 chilometri a sud di Fougamou e qui la sorpresa. Durante una corta passeggiata con Tatà nella foresta, Daniele scopre delle strane orme. Rotonde, profonde, ed alcune mostrano gli scavi di tre unghie arrotondate. Le orme sono decine ed è possibile seguirle attraverso passaggi nella fitta foresta. Delle belle montagne di escrementi tolgono ogni dubbio. Elefanti di foresta! Intanto scimmie volteggiano rumorose tra le fronde. Decidiamo di fermarci un qualche giorno e di cercare di osservare gli elefanti. Partiamo per diversi giorni in foresta, addentrandoci sempre più a colpi di machete. Le piste sono tante, si incrociano, alcune arrivano a pozze di fango dove gli elefanti hanno fatto il “bagno”. Altre svaniscono in una vegetazione troppo fitta per noi. Rami e alberi spezzati, foglie schiacciate da poco. All’inizio la foresta ci sembra ostile. Vediamo pericoli dappertutto: ragni, serpenti e fiere in agguato. Lentamente cominciamo però a capirla, i timori svaniscono e ci fondiamo con lei. Impariamo a muoverci, ad evitare ostacoli, a non inciampare di continuo e a ridurre i rumori al minimo. Cambiamo tecnica e ci appostiamo per ore, anche appollaiati su un albero a cinque metri dal suolo. Ma niente elefanti. Decidiamo così di chiedere l’aiuto ad uno dei tanti cacciatori (in teoria non di elefanti). Ci spostiamo così direzione Manji e Sika e ci installiamo all’esterno del villaggio di Boungounga, vicino ad un piccolo stagno. Entriamo nel villaggio a piedi, con Tatà al nostro fianco. Boungounga è composto da una ventina di abitazioni spaziate di molto tra di loro. Da subito veniamo salutati calorosamente. Chiediamo dello “chef du village” che troviamo seduto al ritrovo del villaggio assieme allo “chef du regrouppement” e agli anziani. La bandiera gabonese sventola a pochi passi. Ci presentiamo ed esponiamo la nostra difficoltà nel trovare gli elefanti. “Ce ne sono molti!", "Dobbiamo di continuo scacciarli!", "Ci devastano le coltivazioni!” rispondono e “arrivano addirittura la notte fino alle case per mangiare le banane plantains!”. Ridono di gusto quando raccontiamo che sono cinque giorni che, senza esito, non facciamo altro che cercarli... Ci viene gentilmente assegnato un cacciatore, Rems, che arriva con fucile in spalla e machete . A questo punto vengono portate bottiglie di vino di canna da zucchero. I bicchieri si susseguono e, mentre il vino fa il suo effetto, la conversazione si accende. Passano le ore, discutiamo, ridiamo e scopriamo la vita in "brousse", prateria. Passiamo insieme tutto il pomeriggio e ci congediamo solo verso sera avviandoci verso il nostro accampamento un po’ barcollando. L’indomani all’alba arriva Rems. Sempre con machete e fucile. In canna munizioni con pallino in piombo da 15 grammi. “Caso mai...” dice serio. Avanziamo per due giorni a colpi di machete nella foresta. Impariamo a seguire le tracce, a ridurre i rumori al minimo (ad eccezione di Tatà che non ha futuro come cane da caccia) e ad ascoltare la foresta. Mentre camminiamo delle gazzelle ci passano agilissime al nostro fianco e le scimmie si spostano rumorosamente tra le fronde. Ad un tratto Rems ci fa fermare e sparisce furtivo in brousse. Passa forse un minuto e poi “BANG”, uno sparo. Poco dopo rispunta trascinando una femmina di macaco. Con movimenti collaudati, spacca con il machete le zampe dell’animale. Fora poi una guancia, infila parte della lunga coda in bocca e infilza un rametto spuntato nell’estremità della coda. Il pesante macaco diventa così più facile da trasportare. Sollevato dalla coda sembra essere diventato un’enorme borsetta... Camminiamo per ore tra la vegetazione, ma nemmeno con l’aiuto di Rems riusciamo ad avvistare gli elefanti. Niente. Dobbiamo partire, e lasciamo gli elefanti per paesi più al sud.

 

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